Archivio della parrocchia di San Giorgio in Melpignano, Atti anagrafici, 1° libro dei battezzati, 1567-1576, c. 5 r.

 

 

l clero del casale di Melpignano si trova, nelle <<Collectoriae Regni Neapolitani>> del XIII e XIV secolo , impegnato nel versamento delle decime dovute alla Camera della Sede apostolica. Il 15 marzo 1325 il detto clero contribuisce al versamento di once 3 e 11 tareni nelle mani del subcollettore, abate Bartolomeo del monastero Benedettino di Bari, incaricato di esigere per conto del collettore, il cardinale Gerardo della Valle, cappellano del Papa e nunzio apostolico per tutta la regione pugliese, di quanto dovuto, sotto pena di scomunica dell’Arcivescovo, da tutti i canonici, beneficiati e <<clericis graecis>> della diocesi di Otranto, quale decima sulle rendite provenienti dai benefici ecclesiastici posseduti, così come si era anche corrisposto e precisato l'anno precedente. Da rilevare in dette collectoriae, fondamentali in mancanza di altra documentazione per comprendere la diffusione del rito bizantino e di quello latino, che quanto annotato dal detto Subcollettore <<Item recepimus a Clericis graecis dicte Civitatis Hidrontine ... Item ... a Clericis graecis eiusdem Dioecesis Hidrontina>> , ci autorizza a supporre che ancora buona parte, se non tutto, il clero secolare presente in ogni comunità della diocesi di Otranto ed in quella di Melpignano è di tradizione bizantina.

Le poche testimonianze superstiti ancora a malapena ci permettono di ricostruire le ultime vicissitudini delle originali strutture ecclesiastiche esistenti nel territorio di Melpignano e ci aiutano a comprendere il senso religioso ed il vissuto quotidiano della sua popolazione. <<L'antica lor chiesa>> matrice è situata <<fuor delle mura da più secoli coltivata col rito greco e fabbricata a portici per li penitenti all'uso della primitiva chiesa e col cimitero nell'atrio fuori di essa, allor dedicata al glorioso martire San Giorgio di Cappadocia>>. Di trascurabile entità ed importanza sono le chiese e le cappelle situate all'interno dell'abitato. Esiste soltanto la cappella di s. Antonio abate e la piccola antica chiesetta dedicata a s. Giovanni Battista, quest’ultima nomina quella parte dell'abitato situato intorno alla stessa.

Fuori l'abitato a breve distanza dal fossato che cinge le mura del paese, ancora dedicata a s. Antonio de lo Cairo, o del Cairo, è la omonima cappella, ricca d'immagini di santi affrescate sulle pareti. Un piccolo altare, situato rispetto all'altare principale <<in cornu evangeli>>, serve <<pro actu prothesis more graecorum>>.

Chiesa parrocchiale. Presbiterio, lato sinistro, affresco raffigurante s. Giorgio, sec. XVI.Un luogo di culto molto frequentato dalla devotissima popolazione di Melpignano è la chiesa di s. Vincenzo, costruita <<sub cupula more graecorum lapidea bene conditionata>>. Il suo interno, tutto dipinto di immagini di santi, è arricchito da diversi altari. Speciale devozione è rivolta dalla popolazione melpignanese all'altare di Maria vergine, alla cui sacra immagine, illuminata da una lampada votiva ed impreziosita da diversi panni di lana e tappeti, sono dedicati quasi ottanta voti in argento ed altri in cera. Diverse sepolture trovano posto tanto nella chiesa quanto nel cimitero circostante, situato nell'ampio spazio intorno alla stessa. Ancora nel largo delle suddetta chiesa trova sistemazione un locale che serve per <<ospedale>>, o forse piuttosto un ospizio, dei poveri e, contiguo alla stessa, una piccola abitazione dove trova alloggio il sacrestano, o frate oblato, a cui spetta il compito di accudire ai bisogni della cappella. Le elemosine e le rendite provenienti dal piccolo giardino confinante con la chiesa e dai diversi terreni posseduti, assicurano tanto al cappellano quanto al frate oblato la funzionalità e l'esistenza del luogo di culto. Ancora fuori l’abitato <<aedificata more graecorum>>, con due tribune, <<ornata ... multis sanctorum imaginibus>> è la chiesa di s. Stefano. Il vecchio albero di olivo ed i diversi altri alberi comuni che circondano la chiesa, contribuiscono a dare pace e serenità al luogo. Il possesso di beni immobili e soprattutto il lungo elenco di singoli alberi di olivo sparsi nelle diverse proprietà del territorio di Melpignano donati alla suddetta chiesa, testimoniano come la stessa sia luogo prediletto dalla popolazione per la celebrazione di messe in suffragio della propria anima. Poco distante dalla stessa sorge un edificio destinato forse ad ospedale.

La cappella di s. Maria della candelora, situata poco distante dall'abitato, è dotata di un solo altare. Diverse immagini sacre sono dipinte sulle pareti della stessa, tra queste quella di Maria ss. genitrice di Dio, di cui si solennizza la ricorrenza nel giorno della Purificazione di Maria vergine. Poco distante dall'altare, mediante una scala scavata nella roccia si accede ad una sottostante cripta con altare. Davanti alla chiesa, nel suo piccolo atrio trovano posto dei locali destinati ad asilo ed ospitalità, offerti a poveri ed a pellegrini.

La particolare diffusa <<presenza religiosa>> di chiese e cappelle sull'intero territorio di Melpignano, come d'altra parte della Grecìa salentina, per la sua essenzialità riporta ad un modo di vivere la vita e la religiosità in modo semplice e naturale.

Ma una nuova <<Madrice chiesa sita e posita nella pubblica piazza di detta terra, - viene - fondata dà suoi cittadini ... per cagione che il popolo, cresciuto a dismisura, li bisognò lasciare>> la suddetta antica chiesa matrice. La visita pastorale effettuata in Melpignano il 15 ottobre 1522 da mons. Giorgio Rosa, vescovo di Castro e vicario generale dell'archidiocesi di Otranto, per conto dell'arcivescovo mons. Fabrizio de Capua, la trova ancora in costruzione. È il segno del mutare dei tempi, di un diverso modello di vita comunitaria che allontana sempre di più la popolazione dai suoi caratteri originari. Diversi fattori infatti stanno portando verso un diverso modo di organizzazione sociale e religiosa in cui fondamentale diventa il ruolo della Chiesa latina in seno alla propria comunità.

Risulta sempre difficile per la lamentata mancanza di documentazione approfondire i diversi processi di evoluzione svolti in seno alla comunità di Melpignano, che porteranno nel corso del '500, nei mutati quadri generali istituzionali sia politici che religiosi già tratteggiati, alla forte contrapposizione tra il tradizionale elemento autoctono, rappresentativo di un senso della vita non più consono allo spirito dei tempi ed oramai in avanzata fase di assimilazione, e l'affermazione delle nuove classi sociali depositarie di nuovi valori, che nella lotta risulteranno vincenti nella conquista del potere delle istituzioni locali. Queste, rappresentate dal governo cittadino e da quello ecclesiastico con profonde relazioni tra le due istituzioni, si traducono per le strategie familiari cittadine nella conquista e conservazione del potere nell'ambito della propria realtà sociale.

Il processo di disgregazione degli antichi equilibri sociali presenti nel piccolo casale di Melpignano è accelerato senz'altro dal crescente processo di intensificazione dei fattori economici, sociali e strategici, che investono l'intera provincia di Terra d'Otranto tra la fine del '400 e gli inizi del '500, quando la conquista seppur breve nel 1480 di Otranto e Roca da parte dei Turchi rivela la fragilità del sistema difensivo del regno di Napoli. Emblematico è il caso del porto di Roca che partecipa, insieme al porto di San Cataldo ed a quello di Otranto, alla realizzazione dei fattori economici e commerciali presenti in tutta l'area meridionale adriatica della penisola salentina e da sempre essenziale diramazione del capoluogo di Terra d'Otranto, Lecce. Situato in zona relativamente salubre ed atto all'approdo di navi rispetto al porto di San Cataldo, sfornito invece di ripari naturali per le navi, partecipa, oltre alle attività economico-commerciali, a quelle molto sviluppate agro-pastorali presenti nella cosiddetta foresta di Lecce ed alla commercializzazione dell'olio prodotto dagli ottimi oliveti situati nell'immediato suo hinterland intensamente dedito alla monocoltura dell'olivo. Il porto e la città di Roca, dopo il saccheggio del 1480, conoscono solo un costante ed inarrestabile declino e, diventata impossibile la loro difesa, si decide di spostare ad una distanza di sicurezza, a Roca nuova, l'essenziale struttura economico-amministrativa. Nel 1544 si decide addirittura di abbattere definitivamente il bellissimo castello e l'antica città posta sul mare, diventata addirittura base d'appoggio e covo dei pirati turchi. Finché in questo contesto nel 1638, per prevenire gli improvvisi attacchi dei pirati turchi capaci di colpire sempre in qualsiasi punto la penisola, viene imposto l'abbandono degli insediamenti abitativi situati sulla costa se non specificamente difesi, come Brindisi, Otranto, Castro, Gallipoli e Taranto, oltre naturalmente le torri costiere, cui le Università, per la custodia delle marine situate nella propria giurisdizione nominano i cavallari, sopracavallari, sentinelle e torrieri.

Chiesa parrocchiale di s. Giorgio, Presbiterio, lato destro, affresco raffigurante: Madonna in maestà  con angeli musicanti, sec. XVI . Particolare raffigurante Angelo musicante.Dopo la caduta di Otranto ed il saccheggio della penisola salentina da parte dell'armata turca nel 1480-81, quindi l'insicurezza delle città e delle coste della penisola otrantina spinge verso l'interno i vitali processi economici e commerciali assolutamente bisognosi, per la propria esistenza ed espansione di sicurezza e tranquillità. Il casale di Melpignano, difeso da mura, assurge in maniera sempre più crescente a queste strategiche funzioni.

La vitalità e la dinamicità dell'economia melpignanese viene in tal modo prepotentemente potenziata nel corso di tutto il Cinquecento, dalla stabile presenza di numerosi commercianti provenienti da diversi luoghi del Regno, in special modo da Bari e da Napoli. A questa "fortunata" condizione, l’economia melpignanese aggiunge la non indifferente ricchezza proveniente dalle diverse produzioni del suo territorio, costituite, oltre che dal materiale da costruzione estratto dalle diverse cave situate nel suo territorio, anche dalle diverse produzioni agricole. Oltre alla trascurabile produzione olearia che partecipa comunque al generale mercato d’esportazione dalla provincia di Terra d’Otranto verso i rimanenti paesi europei, un ruolo primario è quello della coltivazione del lino trasformato dall’abile popolazione di Melpignano in tessuto, che, apprezzato per la sua qualità e buona fattura, trova collocazione attraverso la mediazione dei numerosi abili commercianti ivi residenti, non soltanto nell’ambito provinciale, e specialmente nel suo capoluogo Lecce, ma in buona parte della regione pugliese.

I forti elementi esterni sono quelli quindi che contribuiscono ad agire e far lievitare, in una società in fermento come quella melpignanese in cerca di nuovi equilibri sociali, le forze più dinamiche, come era già successo, o tale processo è in corso di attuazione, per diverse altre città salentine strategicamente rilevanti. La stessa popolazione di Melpignano infine, aumentando a ritmi veramente sostenuti, testimonia tale evoluzione nel periodo in considerazione. Dai 39 fuochi infatti contati nel 1447, ai 170 nel 1508, ai 215 nel 1532, ai 262 nel 1545, si passa nel 1561, al termine si può dire del periodo in cui è praticato il rito bizantino nella sua parrocchia, a ben 297 fuochi.

Le esigenze e l'importanza dell'attività svolta costringono i mercanti, soprattutto baresi, ad una loro stabile presenza nel paese. Il conseguente trasferimento delle rispettive famiglie e la necessità di una riorganizzazione della propria vita sociale, certo non omogenea con la gran parte della popolazione di Melpignano, porta al bisogno di erigere sulla via per Castrignano una propria chiesetta, dedicata a s. Nicola. Questa è provvista di un proprio fonte battesimale e di un cimitero circostante, l'eucarestia è conservata <<more graecorum>>.

La cappella del castello invece è dedicata al culto, di origine romana, di s. Maria de nive, cui alla fine del '500 Margherita Francone, moglie di Alfonso Mosco barone di Melpignano, assegna, tra gli altri, in favore del clero capitolare, un legato di ducati cento per la celebrazione di messe.

Ma ancora è lo stesso governo cittadino ad impegnarsi, oltre alla costruzione della nuova chiesa matrice, nel non indifferente onere di costruzione di nuove cappelle. Così nella suddetta visita pastorale del 25 gennaio 1540 si trova la cappella dei ss. Rocco e Sebastiano, poi dell'Assunta, situata nella pubblica piazza quasi contigua all'atrio della chiesa matrice e, <<de novo fabricata ad voltam lamia, con l'immagine del crocefisso sull'altare>>, la chiesa di s. Maria de carmino. Quest'ultima su cui il governo cittadino, vanta il suo diritto di patronato per disposizione di bolla concessa dalla Sede apostolica, e l’affresco dedicato all’agostiniano s. Leonardo, datato 1525 e commissionato da Nicola Antonio Ve[b]e na, come recita la didascalia visibile nel margine superiore dell’affresco hoc opus fieri fecit [Ni]ColA[n]t[onius] Ve[b]e na anno Domini 1525, ponendo i dovuti interrogativi sull’abbandono della vecchia chiesa matrice ed il suo trasferimento entro le mura cittadine, purtroppo destinati a restare senza risposta per mancanza di documentazione, testimoniano senza alcun dubbio la decisa volontà delle nuove classi sociali, al potere rispettivamente nell’istituzione locale ecclesiastica e nell’amministrazione dell’Università, di operare in modo determinante per il cambiamento del rito religioso praticato dalla popolazione. Gli sforzi congiunti operati intanto dall'ordine religioso dei padri Agostiniani, per una loro penetrazione nell'area in esame e nel tessuto melpignanese, portano a coronare tale tentativo da pieno successo nel 1573, quando i locali del nuovo convento che si vanno intanto costruendo appena fuori le mura del paese, accogliendo finalmente i padri del suddetto ordine, vengono destinati ad educandato ed in questa funzione riuscirà a raccogliere diversi e numerosi nuovi adepti, come all'affermazione della gerarchia del detto convento nell'ambito della provincia agostiana di Apulia.

Nuovi culti quindi e nuovi interessi contribuiscono allo scardinamento della società melpignanese, allontanando la popolazione da quelli tradizionali sempre praticati. In questo processo di rinnovamento, di fondamentale importanza si rivela l'operato della famiglia Maiorano, intorno a cui finiscono per convergere gli interessi di tutte le famiglie che si contrappongono a quelle di tradizione greca. Illuminante a tal proposito è la condizione in cui ormai sono cadute nel 1572 le chiese di s. Vincenzo, s. Stefano, s. Antonio e s. Nicola, di cui è beneficiato fin dal 1540 Giovanni Battista Sciurto, arciprete di rito greco di Cursi, come appare nella suddetta visita pastorale del 25 gennaio di quell'anno, e la chiesa di s. Venere tenuta da don Favorito Mazzarella. Nel processo tenuto innanzi alla Corte arcivescovile di Otranto sulla responsabilità del degrado delle suddette chiesette e cappelle e sull'accertamento dell'amministrazione dei relativi beni, di cui risulta inquisito il suddetto don Favorito Mazzarella, i sacerdoti e cittadini di Melpignano: Stefano Scharzia, don Gerolamo Giorgelli, don Domenico Macri, don Francesco Parus, Nicola Ottino, Battista Pellegrino, Domenico Villano, Polidoro e Angelo Ursius, non esitano a testimoniare in merito.

Don Francesco Parus in qualità di testimone in detta causa, con giuramento dichiara:

saper benissimo come preyte ... e citatino che donno Joambaptista Sciurto archipreyte di Curse tiene e possede in detta terra de Melpignano le ecclesie e benefici de santo Stefano, santo Vincenzo, santo Antonio e santo Nicolao, in detta terra e a suo ricordo sonno più di trenta anni incirca e sape che si have ditto e dice ad Melpignano che li homini de quello che per havanti le dette ecclesie e beneficii li teneva il quondam donno Roberto Mayorano socero de ditto donno Joambaptista Sciurti et ... ne sse ricorda che ditto donno Joambaptista havesse ditto mai messa in ditte ecclesie si bene sape che sino da circa anni sidici che detto testimonio fu posto per cappellano in dette Ecclesie dal detto donno Joambaptista a’ tutte le supradette quattro ecclesie et diceva per ordine del detto donno Joambaptista una messa il mese per catauna de dette ecclesie et li dava per offerta per dette sue fatighe diece o dudici carlini l'anno incirca, che alla ecclesia preditta de santo Stefano esso testimonio per quello tempo che servette per cappellano da uno anno non sape ne disse mai messa nel giorno de la domenica si perché detto donno Joambaptista non li ordino precisem che celebrasse messa nel giorno de domenica ma solamente li ordino et disse che dicesse una messa il mese senza specificarli il giorno, et esso testimonio non sapeva per detto beneficio et ecclesia di santo Stefano nci era obligatione di dirse omne domenica la messa si ancora che esso testimonio serveva per adomatario et serveva la matre ecclesia de ditta terra et non posseva lassar il giorno de la domenica da la ecclesia matre.

Interrogatus si sape, o, si havesse visto per il tempo passato haverse celebrato messa omni domenica alla ecclesia preditta de santo Stefano dicit non haverla vista mai celebrare nel giorno de domenica eccetto si qualche giorno fosse stato la festa de detto santo Stefano affrontato de domenica dove in detta ecclesia per devocione del populo si soleno dire et cantare messe per la festivitate de ditto santo Stefano ... .

Angelo Ursius, dell'età di 60 anni, interrogato <<super ditta causa>>, dichiara:

sapere come homo degnissimo che detto Joambaptista Sciurti archipreyte di Curse a tenuto e tiene li benefici de le ecclesie ... in detta terra de Melpignano. Et non have visto mai lo ditto Joambaptista celebrare messa ne servire di persona alle dette Ecclesie ma solamente have visto alcune volte li preyti de Melpignano celebrare messa alle ditte ecclesie ma come et perche esso testimonio non lo sape ma crede che le dicono per devocione de li homini de Melpignano come che esso e li sui di casa più volte hanno fatto celebrare messe alla ecclesia di santo Vincenzo come vicini in detta ecclesia.

Per quanto riguarda il patrimonio immobilare appartenente ai benefici e la sua rispettiva utilizzazione e gestione, gravissime usurpazioni sono dichiarate dai detti denuncianti. Ancora il suddetto sacerdote Gerolamo Giorgelli testimonia:

che possessioni e robbe tieneno le supradette ecclesie et quanto ponno rendere dicit che non po sapere particularmente ne lla rrobba ne lla rendita ma lo sanno quelli che anno cumperato lo frutto de le olive et seminate le chisure, sape pero che per audito ave inteso che santo Stefano havea una potecha mezo la piazza de detta terra et dicevano che quella ... stava congiunta colle case de magnifico Antonio Fenestra quale teneva la detta potecha et al presente l'ave scarrata pocotempo fa e lla fatta di novo più bella et dicevano che era de santo Stefano pero al presente tene li panni detto magnifico Antonio Fenestra et esso la tiene e possede ma non sape come la tiene

Interruzione nella registrazione degli atti di matrimonio, dal 1572 al 1581.A conclusione dei suddetti accertamenti ed usurpazioni effettuate in danno dei predetti benefici, su supplica del detto don Favorito Mazzarella, l'arcivescovo di Otranto, mons. Pietro Antonio di Capua, con decreto del 7 ottobre 1572 decide di assolverlo e di non molestarlo più. È chiara l'intenzione di soprassedere ad una questione che vede protagonista l'importante famiglia Maiorano che pur avendo usurpato i beni dei suddetti benefici, disponendo come se si trattasse di proprio patrimonio familiare, riesce nel contempo ad operare il desiderato processo di allontanamento e disaffezione nei confronti degli antichi luoghi di culto, scopo corrispondente alla volontà delle gerarchie ecclesiastiche otrantine. Ai cittadini di Melpignano, rappresentanti della minoranza etnica in questione, impediti dal denunciare proprio questa verità per non incorrere in facili scomuniche, non resta che denunciare soltanto in tal modo i soprusi e il non rispetto delle opere beneficiali, come l'impadronimento e la distrazione del cospicuo patrimonio immobiliare proprio dei suddetti benefici, come ben rilevano nelle proprie dichiarazioni i suddetti testimoni, dato, forse addirittura come bene dotale, dall'arciprete di Melpignano, Roberto Maiorano, "suocero" di Giovanni Battista Sciurti, arciprete di Cursi.

È il tempo ormai per Melpignano di profondi e repentini cambiamenti che portano, come abbiamo già visto, nel 1573 allo stabilimento dei padri Agostiniani ed all'acquisizione della parrocchia al rito latino se, come abbiamo già rilevato nei caratteri generali della minoranza etnica a proposito dell'alternanza delle formule per la registrazione degli atti di matrimonio contenuti nel primo libro di Melpignano, questa, nonostante i decreti tridentini sull'uniformità e modalità della registrazione degli atti anagrafici siano stati emanati in Galatina nel 1564, si interrompe all'11 dicembre 1572, con ogni probabilità per la morte del suddetto don Roberto Maiorano, ultimo arciprete di rito greco. L'arciprete Nicolantonio Specchia, colmando una lunga vacanza nella parrocchia lasciata alle cure dei soli cantori don Domenico Villano e don Domenico Macri, pur eletto nel 1577 riprende a registrare soltanto dal 20 agosto 1581, con la formula di rito latino scomparendo per sempre quella di rito bizantino. A far comprendere che le dette registrazioni non sono soltanto formali registrazioni di atti, ma implicano le più profonde motivazioni sociali e religiose, è l'imposizione di mons. Pietro de Corderos al suddetto arciprete della nuova formula, pena il consistente pagamento di <<cento libre di cera>>.

Interessante per capire la nuova trionfante mentalità religiosa e il radicamento nella popolazione del nuovo culto del ss. Rosario in particolare, è la consistenza delle donazioni effettuate in favore del clero capitolare per la celebrazione di messe pro anima, tanto in capitali trasformati in censi quanto in beni immobili donati per il detto scopo. Dalle donazioni effettuate all'altare del ss. Rosario sito nella chiesa matrice si può tracciare una mappa delle famiglie che più hanno contribuito nei suddetti anni cruciali all'affermazione del rito latino. Tra queste figurano i legati effettuati da: Antonio Fenestra - già incontrato a proposito dei beni usurpati alla cappella di s. Stefano -, Nicodemo Garrapa, Marco Plenteda, Antonia Dorodeo, Angelalberto Mosco, Angela moglie di Nicola Aernò, Angela Paro, Caterina Cristaldo, Giovanni Mortaro, Giacomo Dragonetto, Giovanni Scurti, Giovanni Bacco, il clerico Giovanni Francesco Bacco, Lupa Screzzi, Lupo Rulbi, Margherita Francone. In particolare della famiglia Maiorano:

L'illustrissimo monsignor Maiorano de Maiorano vescovo di Molfetta della terra di Melpignano a’ 15 settembre 1579 per mano del quondam notaio Vespasiano Bacco donò un capitale di ducati cento e diece con peso di messe all'altare del ss. Rosario di lunedì e di sabbato ...

L'illustrissimo monsignor Nicolò Maiorano di Melpignano vescovo della città di Molfetta nel testamento stipulato per mano Baldassarre de Judice della suddetta città a’ 16 marzo 1584 lasciò ducati 100 [di] capitale con peso d'una messa la settimana all'altare del ss. Rosario privilegiata giorno di venerdì ...

Argentina Mortaro nel di 3 febbraio 1590 lasciò ducati sei [di] capitale alla ragione dell'otto per cento con peso d'annue messe per l'anima sua, si servono da Maria Maiorano ...

Donna Isabella Maiorano a’ 3 novembre 1603 lasciò ducati cinquanta [di] capitale alla ragione dell'otto per cento con peso d'annue messe in giorno di martedì ...

Lup'Antonio Maiorano nel testamento rogato per mano di Vespasiano Bacco a’ 1 maggio 1593 lasciò un capitale di ducati vinti ... .

Infine ad onorare il detto altare e provvedere al culto del ss. Rosario si aggiunge l'omonima Confraternita.

Il culto del Rosario legato alle nuove istanze tridentine della Chiesa cattolica, è affidato all'intensa azione divulgatrice degli ordini predicatori dei Domenicani e dei Gesuiti impegnati a promuovere tra la popolazione un facile devozionismo legato ai miracoli ed alle indulgenze. Accompagna tale azione la potente influenza sempre esercitata dall'edilizia sacra, così come era già stato in precedenza nella ancor fortemente greca Galatina con la realizzazione, con funzioni antibizantine, del magnifico insediamento monastico di s. Caterina d'Alessandria e nella vicina Soleto del celebre campanile della sua chiesa matrice. Gli ultimi decenni del '500 che porteranno da parte degli ordini dei Gesuiti e dei Teatini alla realizzazione in Lecce delle proprie rispettive chiese del Gesù e di s. Irene, secondo schemi di strettissima osservanza controriformistica, porteranno nella seconda metà del '600 alla realizzazione in Melpignano del loro nuovo complesso monastico di s. Agostino.

Alla fine del '500 il processo sociale di assimilazione al rito latino per Melpignano può dirsi in buona parte concluso, l'accurata visita pastorale effettuata da mons. Lucio de Morra il 12 dicembre 1607 testimonia ormai la fase di profonda trasformazione vissuta dalla società melpignanese, proiettata verso la conquista di nuovi spazi economici e sociali offerti più dalla dinamica chiesa latina, che dalla tradizionale chiesa greca ancorata a schemi sociali destinati ormai a scomparire per fisiologico esaurimento. Lontani ormai gli aspetti sociali del rito bizantino sopravvivono ancora per poco tempo quelli architettonici. Buona parte degli edifici di culto e delle annesse strutture destinate all'asilo dei pellegrini e all'assistenza dei poveri sono ormai abbandonate e ridotte in rovina. Una volta affermato il culto dei morti, questi non sono più sepolti nei piccoli cimiteri delle diverse chiesette sparse intorno all'abitato di Melpignano, ma sono seppelliti nelle tombe situate sotto il pavimento, nei diversi altari e nel cimitero che circonda la stessa chiesa matrice <<servata forma novi Pontifici romani>>. La bella chiesa matrice appare quella mattina del 12 dicembre 1607 al detto mons. de Morra costruita a tre navate, tutte coperte a tetto, probabilmente con una struttura a capriate, mentre il presbiterio ed il transetto presentano una copertura a volta in muratura: rispetto al pavimento della chiesa, il piano di calpestio del presbiterio risulta tre gradini più alto mentre la presenza di una porta che mette in comunicazione la navata centrale con il presbiterio, può significare ancora l'esistenza dell'iconostasi secondo l'architettura tipica delle chiese bizantine. Al centro dello spazio individuato dalla volta di copertura a cupola del transetto, un grande crocefisso in legno, sull'altare maggiore, è appeso ad una trave di legno fissata per gli estremi alle pareti laterali ed a metà altezza tra il pavimento e la copertura.

Così testimonia il detto mons. de Morra lo splendore del coro:

dove stà detto altare maggiore ci sono quattro quatri l'uno con l'immagine di S. Gironimo in auro con l'immagine de san Francesco, in altro con l'immagine della Madonna e nell'ultimo di Nostro Signore sopra al quale ci stà una crocetta.

Uno quatro grande con l'immagine di santo Giorgio.

Quando si sale in detto choro dalla banda di sopra ci stà una cornice de noce lavorato sopra il quale ci stà uno crucifisso grande con lo suo baldacchino d'armesino giallo con l'immagine seu segno del sole e della luna, dalla quale cornice ci pendono tre lampade vicino la quale ci stà la lampada del Santissimo Sacramento.

Chiesa parrocchiale di s. Giorgio. Statua funeraria di mons. Nicola Maiorano, vescovo di Molfetta, elemento superstite della  sua tomba eretta nella  cappella del ss. Rosario, non più esistente, situata nel braccio destro della chiesa parrocchiale in prossimità dell'altare di s. Giorgio, distrutta nel 1790 in seguito ai lavori di ristrutturazione e restauro della parrocchiale.In detto choro ci sono sette pezzi di panni di seta gialla e rossa con uno baldacchino del medesimo con le frangie intorno dell'istessa seta.

Dui croci l'una d'argento a tronconi e l'altra di rame indorato con due penderole, l'una di damasco russo con li fiocchi di seta ed oro, con le frangie di seta gialla e con fiocchi grossi di seta cormosina et oro e la sua ... vecchia d'armesino russo con l'imagine di santo Georgio sopra il quale ancora ci sono otto casciette dove se repongono le pellizze et altre cose dè sacerdoti di detto loco.

Ancora dietro l'altare maggiore, rivolto verso oriente secondo l'uso bizantino, ed il tabernacolo

sopra il muro stà l'immagine di Dio e dalla banda destra un quadro de santo Pietro e dalla sinistra un quadro de santo Paulo Apostoli tutti indorati insieme con tutto il muro, de sopra il quale scende e copre tutto detto muro uno panno calandrato turchino con diverse figure de profeti, Apostoli et altri Patriarchi che scende insino detto altare. E di più ci sono dui angeletti di legno indorati e sei candelieri d'ottone, una Gloria indorata et un crucifisso di mistura russa.

Senz'altro con grande compiacimento il suddetto arcivescovo può registrare in detta visita pastorale che ormai il ss. Sacramento è <<bene conditionato in forma magna more latinorum>>. Questo è situato sull'altare maggiore in

uno tabernaculo di legno indorato d'oro con chiave dove stà il Santissimo Sacramento con lo suo paviglione seu coperta di taffità doppio messo con croci di zagarelle bianche intorno di seta bianca sopra lo quale tabernacolo ci stà un crucifisso con la coperta di taffità russo et uno quatro picciolo con l'immagine della Natività di Nostro Signore, dentro lo quale ci stà il Santissimo Sacramento reposto in uno scagnetto d'argento di un palmo in circa et una custodia con la [...] l'una per la sollennità con li specchi di vitro et un'altra custodia con la quale se porta il Santissimo Sacramento per comunicar l'infermi, et un'altarina di legno con reliquie o pietra con la quale la prima si diceva messa, sopra la quale altarina ci stanno due tovagliuoli e sopra detti tovagliuoli lo corpurale benedetto e sopra il detto corpurale stà il Santissimo Sacramento.

Archivio storico della diocesi di  Otranto, Visite pastorali, mons. Lucio de Morra, 12 dicembre 1607, c. 117.Per il fonte battesimale, tolto dalla posizione centrale in prossimità dell'altare maggiore secondo la liturgia bizantina e sistemato in precedenza con sommo zelo nelle immediate vicinanze della porta maggiore secondo la liturgia latina, il suddetto Arcivescovo comanda che si sistemi in un angolo più interno della chiesa, vicino l'altare della ss. Resurrezione. Gli altri altari sono dedicati rispettivamente allo Spirito santo, alla natività di Gesù Cristo, al santissimo Crocifisso, alla santissima Annunciazione, a san Giovanni Battista, alla santissima Assunzione. Si aggiunge a questi un altare privo ancora del Santo titolare, in attesa di un compatrono che provveda ad istituire il beneficio, lo provveda di beni per il mantenimento sia del culto che del sacerdote investito.

Arricchisce la suddetta chiesa matrice la splendida cappella del santissimo Rosario, come abbiamo già visto, oggetto di consistenti donazioni da parte della locale "borghesia", diciamo così per indicare il ceto più dinamico e senz'altro meno legato agli aspetti sociali tradizionali, favorevole al mutamento in corso nella società e nella parrocchia di Melpignano. Nella cappella costruita per volontà di mons. Nicolò Maiorano, diventato vescovo di Molfetta e bibliotecario alla Vaticana, sono raccolte le sue spoglie in un sepolcro sormontato dalla statua dello stesso. A queste si aggiunge il bellissimo quadro dedicato alla Vergine del santissimo Rosario. All'entrata della detta cappella è situato un tabernacolo di legno nel quale sotto chiave sono conservati una grande croce di argento con il piede di bronzo dorato, <<pulcherrime elaborata>>, e ben quattordici reliquie di Santi. Data l'estrema delicatezza di tale tabernacolo e delle cose custodite in esso, il suddetto mons. de Morra ordina di non muovere assolutamente per nessuna ragione tale struttura sotto pena di scomunica <<ipso facto latae sententiae>>.

La visita pastorale viene effettuata con estrema meticolosità da mons. de Morra a tutte le chiese e le cappelle esistenti nel territorio comunale. In questa, richiama con grande energia alle proprie responsabilità i titolari dei benefici ecclesiastici ed i rispettivi compatroni per l'esatto adempimento dei legati, al mantenimento del luogo di culto e la redazione di un preciso inventario dei beni posseduti da ogni beneficio. A parte ancora le necessarie opere di riparazione e restauro, non risparmia di far apportare però agli antichi luoghi di culto consistenti opere di ristrutturazione alle opere murarie ed imposizione ai tradizionali altari di baldacchini in legno rivesti di panni di lana e di seta.

La materiale distruzione o ristrutturazione degli antichi altari e la realizzazione di tali sovrastrutture fanno ormai tramontare definitivamente il modo di vita semplice ed essenziale originario della chiesa greca. La piccola chiesetta di s. Lazzaro, situata nelle immediate vicinanze del paese, che il suddetto Arcivescovo rifiuta di visitare anche per precauzioni igieniche, con le sue annesse strutture murarie è luogo di rifugio, di assistenza e di ospitalità per i tanti poveri, detti anche "lazari" dal loro santo protettore. È il segno dei tempi. È questa un'umanità spinta ai margini della comunità cittadina non più capace di partecipare ai processi produttivi della collettività, facile vittima molto spesso di un eccessivo fiscalismo e delle frequenti crisi economiche caratteristiche di quel periodo, ed a cui manca in modo essenziale l'opera e la solidarietà di una società lanciata ormai verso altri schemi di vita. Il probabile ospedale annesso alla chiesa di s. Stefano, è ormai ridotto a rudere. Nel piccolo atrio della cappella di s. Maria della candelora restano soltanto i muri perimetrali di un edificio ormai scoperchiato, ricordo di un luogo di asilo e di ospitalità. È la stessa sorte ormai toccata alle ultime testimonianze del rito bizantino presenti nella stessa chiesa parrocchiale. Mentre tutti i suoi beni mobili vengono minuziosamente descritti e dei libri liturgici latini ne è specificata la tipologia ed il relativo numero, di quelli utilizzati nella liturgia di rito bizantino il visitatore nella suddetta visita pastorale elenca stancamente: <<Pezzi di libri greci numero dicisette>>. Non più usati nella liturgia dopo il passaggio dell'arcipresbiterato al rito latino, il loro numero è soltanto ormai il ricordo di una grandiosa epoca passata che pur aveva visto il clero di Melpignano, insieme a quelli di Galatina, Soleto, Sternatia, Corigliano e Martano, uno dei più numerosi tra i paesi dell'intera diocesi di Otranto ed a testimonianza del suo buon livello culturale, la stessa matrice sede di un apprezzato scriptorium in cui erano coltivate le lettere greche. Le sottoscrizioni apposte ai codici greci superstiti, sparsi nelle biblioteche nazionali ed europee, ricreano in qualche modo le singole personalità e riescono a farci apprezzare le capacità ed il buon gusto dei rispettivi autori. L’arciprete Roberto Maiorano copia nel 1496 la Fisica di Aristotele e nel 1500 un codice di liturgia, che dedica al principe Matteo III Acquaviva. Il prete Antonio, figlio del detto arciprete Roberto, copia le Categorie di Aristotele con commento di Ammonio, le parafrasi dello Psello al De interpretatione di Aristotele. Forse al suddetto prete Antonio di Melpignano è dedicata la traduzione in greco del Manipulus curatorum di Guidone di Monte Roterio, curata dal prete Giorgio di Corigliano. Venduti nel 1606 figurano il Canonario del XIV sec., l’Antologia di sacre ufficiature del XIV sec., i trattati di grammatica e ortografia del sec. XV, vite di Santi e omelie del XV sec..

Del clero di Melpignano infine, nel periodo in considerazione, nella visita pastorale del 1522, si ricordano oltre all'Arciprete soltanto un certo Nicola, cappellano della chiesa di santa Maria della candelora, ed il clerico Giovanni Antonio de lo Arciprete. Senz'altro il suo clero è più numeroso, e la <<Matricula Praesbyterorum et clericorum>> della più compita visita pastorale del 1540 infatti testimonia la presenza di ben 15 sacerdoti così suddivisi nei diversi gradi ecclesiastici:

presbiteri: Angelino Maiorano, arciprete; don Domenico de Pellegrinis, don Federico de Vignaca[pe];

diaconi: Nicola Fersino, Domenico Macri cantore;

clerici in minoribus: Gerolamo Giorgelli, Dionisio Paduanus, Battista Ursius, Nicola Onorato, Leo Maiorano, Castilius Gatto, Francesco Planteda, Giacomo Domenico Yuci, Giambattista Duca, Antonio Gatto.

La <<Matricula Praesbiterorum>> relativa al Capitolo parrocchiale, che accoglie il suddetto mons. de Morra nella sua visita pastorale del 12 dicembre 1607 e presta la propria obbedienza, nella sua enumerazione specifica malinconicamente, tra gli altri, gli ultimi sacerdoti e clerici greci:

don Nicola Antonio Specchia arciprete,
don Giovanni Luca Fenestra arcidiacono graecus uxoratus,
don Francesco Sticchi,
don Elia de Alloysio, praesbiter graecus uxoratus,
don Frangelius Maius,
don Fabrizio Vincenti,
don Giovanni Domenico Persinò,
don Leonardo Marcuccio alias Cuiana,
don Giordano de Jordanis,
don Giovanni Francesco Bacco,

clerico Luca Roberto graecus viduus,
clerico Giovanni Bacco graecus uxoratus,
clerico Ruggero de Ruggero,
clerico Giovanni Domenico Mastore,
clerico Troiano Specchia graecus uxoratus,
clerico Giovanni Maria Valentini,
clerico Colella Valla,
clerico Donato Antonio Vergallo,
clerico Valerio Santa Venneri,
clerico Leonardo Fulenus,
clerico Vincenzo Barbarus graecus uxoratus,
clerico Angelo Fabrizio

Certamente il costante atteggiamento di sostanziale osservanza delle disposizioni impartite dagli Ordinari diocesani e la mancanza ormai degli aspri toni polemici che caratterizzano lo scontro nelle altre realtà sociali della Grecìa salentina facilita la convivenza della popolazione melpignanese ed il buon inserimento in essa, come abbiamo già rilevato per Galatina, di elementi che per tutto il '600 amano distinguersi more graecorum, anche se ormai questa specificazione ha perduto quasi ogni significato. Saverio De Blasi, membro delle accademie leccesi dei Trasformati e degli Spioni, insieme all'altro melpignanese Giovanni Battista Bacco, prima del suo trasferimento a Lecce nel 1655 riceve dal proprio padre, l'avvocato Francesco, l'usufrutto di alcuni immobili perché <<più comodamente potesse vivere et alimentarsi, et attendere alle lettere greche>>.