Arme della famiglia Castriota, nell'interno del Castello baronale.

a storia dell'antico casale di "Melepignana" si intreccia con il problema delle origini degli istituti feudali nella penisola salentina, che dalle istituzioni bizantine passano attraverso l'affermazione di quelle normanne, si sviluppano con le dinastie degli Svevi, Angioini ed Aragonesi, condizionano tutta la società meridionale nell'antico regime fino all'abolizione della feudalità con legge 2 agosto 1806, n. 130.

I diritti feudali che gli abitanti di terre e casali della provincia di Terra d'Otranto sono obbligati a corrispondere al proprio Signore, legittimo possessore del feudo, in genere riguardano sia le diverse prestazioni "reali", consistenti in una data quantità (decima, vigesima, nona, quinta) di generi agricoli prodotti nel territorio del feudo (olio, grano, vino o altri frutti) o di animali, sia le prestazioni "miste", cioè diritti proibitivi che consistono nell'imporre agli abitanti del feudo l'obbligo di servirsi delle strutture produttive del feudatario (molini, forni, osterie e trappeti). Questi diritti di fatto, riducendo le proprietà e le possibilità imprenditoriali della popolazione, ne determinano il relativo impoverimento, producendo al Signore feudale una rendita. Diritti feudali, "differenti secondo la diversità dei luoghi, dei costumi e degli abusi introdotti dalla prepotenza baronale", che concorrono a stabilire, in base alla capacità contributiva di ogni singolo territorio, il valore relativo del feudo stesso che, come descritto nei Cedolari dei feudi della Regia Camera della Sommaria, sarà poi venduto o concesso dalla Regia Corte al feudatario possessore in ultimo del feudo in questione.

Dalla più antica documentazione superstite il feudo di Melpignano risulta concesso dal Sovrano al barone, possessore del feudo, in "demanium" cioè come proprietà personale del barone, al cui possesso del territorio è connessa anche quella sugli abitanti del detto Casale considerati come pertinenti allo stesso nella condizione di essere "vassallos suos angarios et perangarios". Quest'ultima particolare condizione istituzionale si traduce per le terre e gli uomini di Melpignano a dover ottemperare, oltre ai suddetti diritti reali e proibitivi, anche all'obbligo di corrispondere al possessore del feudo diversi diritti "personali" con un notevole aggravio quindi delle rispettive condizioni sociali, economiche ed istituzionali. In quanto "vassalli angari e perangari" sono infatti obbligati a prestare al barone di Melpignano le proprie servitù reali e personali, la cui natura, quantità e modalità di prestazione, come le rispettive proprietà concesse dal barone, sono precisamente individuate e previste negli inventari redatti in lingua latina e greca, esistenti nelle mani del barone e nelle mani dei vassalli del detto Casale.

Il 28 aprile 1336, con tutta la solennità del momento per l'assunzione del potere del feudo di Melpignano da parte del barone Raho, si rinnovano tra questi ed i suoi vassalli le condizioni già sottoscritte "ab olim bone memorie domine Ysabelle ... matre dicti domini Rahonis" e dei suoi antecedenti possessori del feudo. Il contratto, per quanto consente la non facile lettura del documento a causa del suo non buono stato di conservazione, è rogato dal notaio alla presenza del giudice annuale ai contratti e di diversi testimoni, presenti per dare solennità e validità all'atto stesso.

Tra i vassalli angari e perangari, tra gli altri, sono presenti: Leone e il figlio Martino di Melpignano, Leone de Muzato, Mello figlio del magistro Georgio, Mello de Demetrio, Churanna Li pare, Giorgio Puffo et Mello, Puffe Jacobe Tromaceri figli del defunto Ursone Melle, Giorgio ed Antonio figli ..., i figli del defunto Pietro Ciuttala, il figlio del defunto Vincenzo Stafiti, il figlio del defunto Michele Russi, Mello de Symonis ed il figlio suo, i fratelli Simone, Vincenzo, Stefano e Demetrio figli del defunto Giacomo de Symonis, Giacomo figlio naturale del defunto Martius Grassi, i fratelli Antonio e Giacomo figli del defunto Vincenzo ..., Michele Vito Pendeno figlio del defunto Giambattista, il figlio di Vincenzo de Donata, Leone de Symone. Come si evince dal suddetto elenco, alla redazione dell'atto sono presenti esclusivamente uomini in rappresentanza delle rispettive famiglie: figli e padri, figli singoli o più fratelli, in qualità di eredi dei propri padri, e ciò per il motivo che soltanto i rappresentanti maschi possono compiere nelle mani del proprio signore feudale il fondamentale atto di vassallaggio per poter ricevere poi da questi una parte di beni del demanio feudale, così come descritti negli inventari redatti in lingua greca e latina per la perfetta comprensione degli obblighi e dei diritti connessi a tale concessione.

Il possesso dei beni concessi è garantito perciò alle famiglie soltanto dalla presenza di una costante discendenza in seno alle stesse della linea maschile. È quindi il padre ed i suoi eredi legittimi, di generazione in generazione, che danno continuità al rapporto di vassallaggio col proprio Signore feudale e possono assicurare a loro ed alla propria famiglia i mezzi necessari per poter sopravvivere. Aspetto quest'ultimo che connesso con quello dell'assegnazione dei beni, costituiti da case e terreni, contribuiscono insieme, forse, a spiegare in diversi centri abitati il particolare fenomeno di inurbamento della "casa a corte", caratteristico non soltanto della Grecìa salentina. Situazione urbanistica, si può ipotizzare, generata dal particolare istituto giuridico feudale rappresentato appunto dal rapporto di vassallaggio, connesso alla natura stessa del feudo o alla particolare condizione giuridica di taluni abitanti nello stesso. Per Melpignano, che riuscirà a contare 39 fuochi soltanto nel 1447, forse il suddetto atto di vassallaggio potrebbe essere comprensivo di tutti gli abitanti, piuttosto che interessare invece parte di essi. Ogni qualvolta la suddetta condizione di continuità nella linea maschile viene meno, il diritto al possesso dei beni concessi viene perso e gli stessi ritornano nelle mani del Signore feudale, liberi di essere concessi nuovamente ad altri vassalli angari e perangari.

Ancora nel detto contratto vengono stabiliti e precisati i diritti di angaria dovuti al barone, cui i vassalli sono obbligati a soddisfare. Così si comanda agli stessi "vassalli et eorum heredes" di servire "duabus diebus pro angaria per settimana" per ottemperare alle comandate ordinarie in occasione della semina, mietitura, vendemmia o raccolta delle olive, e di servire "duabus diebus quas serviunt pro mense quonlibet annuatim" nelle comandate straordinarie, come ancora di corrispondere ogni anno, come dono al Signore feudale, sei galli e tre galline.

Tali patti e condizioni stabilite tra il barone ed i suoi vassalli, vincolanti per quest'ultimi da padre in figlio, sono inviate con supplica all'autorità sovrana per ottenere la necessaria approvazione. Ancora tali patti e condizioni sono rinnovati ad ogni successione feudale e si può immaginare come i cittadini di Melpignano cerchino con tutte le loro forze di migliorare nel tempo la propria condizione di vassallaggio e di assoggettamento al signore feudale. Tale evoluzione, come vedremo per Melpignano, rappresenta emblematicamente l'impegno civile per il miglioramento delle proprie condizioni sociali come la lotta per la conquista progressiva delle libertà fondamentali dell'uomo raggiunte con la fine e la dissoluzione dell'antico regime.

Per comprendere la situazione istituzionale del feudo di Melpignano, come quella generale del regno di Napoli, bisogna tenere presente che il possesso della terra è tutt'uno col potere sugli uomini: il problema dell'organizzazione del territorio sfocia dunque nel tema dell'assetto sociale e del controllo dei vassalli. Tra il XII e XIV secolo, in un periodo caratterizzato da scontri continui tra i signori feudali per la conquista del potere in Terra d'Otranto, violenze e soprusi indicibili sono vissuti dalla popolazione indifesa determinando la precarietà degli stessi insediamenti abitativi spesso abbandonati per le distruzioni operate dai feudatari avversari ma anche a causa delle vessazioni volute dagli stessi signori feudali. Molto spesso infatti le prestazioni di angaria, perangaria ed i diritti proibitivi pretesi sono talmente penosi da indurre intere popolazioni alla disperata decisione di abbandonare i propri casali per trovare altrove asili più sereni. Nel 1269-1270 Bernardo de Guarciavilla, signore del casale di Galatina, è costretto a chiedere a Carlo I d'Angiò l'esonero dal pagamento delle collette dovute alla Regia Curia perché gli uomini, suoi vassalli angari e perangari, con le loro famiglie hanno abbandonato quel casale e si sono rifugiati in altri luoghi. Per non perdere le indispensabili entrate finanziarie il detto sovrano ordina al giustiziere ed erario di Terra d'Otranto, responsabile del governo della provincia e della riscossione delle dette entrate, di far ritornare nel casale di Galatina i vassalli obbligati ai servizi personali. Allo stesso modo gli abitanti di Melpignano, di fronte ai soprusi operati dal barone Pandolfo, nuovo signore feudale, in un anelito di libertà cercano di liberarsi dallo stato di servitù in cui sono costretti, contestando la natura giuridica del documento stesso da cui traevano origine tali maggiori aggravi e la nullità delle prestazioni reali e personali pretese ed introdotte dal detto barone, alle quali per dare validità giuridica cerca d'introdurre, secondo l'uso del tempo, il concetto di consuetudine.

Tentativo fallito se il 14 settembre 1348, nell'atto rogato dal notaio Andrea Georgii in S. Pietro in Galatina, troviamo il detto barone intento a concedere alcuni beni al vassallo Giovanni, figlio del presbitero Giorgio, dello stesso Casale. A questi, interrogato al cospetto del notaio e dei testimoni come attestazione di perenne fedeltà al signore feudale, non resta che ammettere e ribadire la propria condizione come quella dei propri antenati di "homines villani seu vassalli angarii et perangarii eiusdem baronis ab eo tempore cuius memoria hominum non existit", promettendo di prestare i relativi servizi reali e personali così come descritti particolarmente e distintamente negli inventari redatti in lingua greca e latina. Nell'atto si ribadiscono le condizioni a cui devono sottostare i vassalli di Melpignano: se qualcuno di questi muore senza figli legittimi "ex eorum corpore dessendentibus" esclusi tutti i suoi consanguinei di qualunque grado di detto Casale, succede allo stesso il detto barone Pandolfo, come allo stesso modo succede se qualcuno dei suoi abitanti si allontani o dimori in altro luogo, presti il proprio vincolo di vassallaggio o si offra in affidamento a qualche altro signore feudale. Così a causa della suddetta lite, tutti i beni mobili ed immobili esistenti in detto Casale posseduti dai fratelli Iaconus Leo e Nicola, figli del defunto presbitero Giovanni Russi, sono annessi al dominio e podestà del detto barone. Per ottenere la concessione dei detti beni secondo il suddetto rito di vassallaggio, il suddetto Giovanni supplica il suo barone piangendo, inginocchiato e rivolto a terra. Infine al detto barone, che ben disposto dalla sua supplica gli concede i beni in questione, presta il proprio vincolo di vassallaggio stando davanti alla porta della Curia baronale giurando sul Vangelo con le proprie mani in quelle del barone.

Finalmente gli uomini di Melpignano cogliendo l'occasione della presenza del re Ferdinando I d'Aragona in S. Pietro in Galatina, riescono ad ottenere l'11 dicembre 1463 diverse immunità, grazie e privilegi, migliorando così notevolmente la propria condizione di vassalli angari e perangari.

Immunità, grazie e privilegi, che vengono presentate ed accettate il 26 febbraio 1464 dal nuovo signore di Melpignano, Nicola Antonio de Ayello di Taranto, al momento del suo insediamento:

Essendome per la Università ed homini de lo casale predicto novamente da poiche per concessione de la Maesta del Signor Re el dicto casale e pervenuto ad dominio et possessione mia domandato et supplicato de le infrascripte gratie:

In primis che essendo li homini et persune de lo supradicto Casale per una antiqua rasone et consuetudine servata, legati che qualsiasi rasone moresse senza figlioli legittimi discendenti del suo corpo non potessero de loro heredita et beni testamentare ne fare legato ad alcuno parente, nec etiam ad loro frate et ad altra persona collaterale vel actinente ma che tutti loro beni devenessero a la Corte et barone de dicto Casale, le quali robe et beni chiamavano ex candensire demandaro et supplicaro che quelle le trasmettesse et donasse cum libera potesta de potere da qua innante per omne futuro tempore de le robbe et beni loro predicti testamentare et lassarele ad chi li piacera instituendose heredi et facendo legati ad loro arbitrio, et volunta: Io volendoli usare gratia como ad boni et fideli vassalli, che spero loro siano, ho acceptato et accepto per tenore de la presente che ad loro sia da mo innante et per omne tempo futuro la dicta servitute remessa, et siano da lo dicto legame soluti.

Item demandoro et supplicaro, che li remittesse et donasse la medietate spettante ad me et ad mia Corte de li pollitri et heredi provenienti de le loro jumente le quale hanno sempre per lo passato pagata ad tutti li baroni de lo supradicto Casale: Io perchè la Maesta del Signor Re reservo ad se de volere li dicti pollitri et heredi non posso liberamente remecterli, senza consultare primo la dicta Maesta, ma me sforzaro obtenere de la Maesta predicta che ce le remecta, conceda, et dona ad me, et si sua Maesta ce li concedera: Io ex nunc pro ut ex tunc li dono et remecto ad li vassalli predicti.

Item domandaro et supplicaro che li remictesse et donasse onze tre [che] hanno costumato pagare, et hanno omne anno pagato per la taberna: Io li remecto de dicte onze tre da mo et omne futuro tempo ma ne reservo che lo vino de la Corte mia, et de le mee rendite, se venda nel casale predicto, et in finche se vendera el vino predicto, non se possa vendere in lo dicto casale vino de altro proprio.

Item supplicaro et domandaro che li adsuta a la spesa de la reparatione et fabrica intendeno fare a le mura de lo dicto casale: Io li permecto pagare a la spesa predicta la mita de salario et opere de li mastri fabricatori: li quali seranno ordinati et deputati a la reparatione et fabrica de le mura predicte.

Item demandaro et supplicaro che li remectesse et donasse tucti li ogli de la Corte mia pervenuti questo anno de le mee intrate et olive de il dicto Casale: Io li dono la mita de lo dicto olio che lo possano vendere et convertere in loro commodo como li piacera, et volendo le supra dicte gratie ac loro per me concesse et facte essere ad essa Università et Vassalli fructose promecto per tenore de la presente observarle omne futuro tempo senza alcuna contradictione o mancamento.

Senz'altro lo stato di ecclesiastico del suddetto barone, essendo arcivescovo di Bari, porta ulteriori miglioramenti al loro stato di vassalli.

Ancora le suddette immunità, su supplica dell'Università di Melpignano sono confermate il 28 aprile 1494 dal nuovo sovrano del regno di Napoli, Alfonso II d'Aragona.

Del suddetto stato di vassallaggio non si riesce a trovare più traccia nei secoli successivi. Senz'altro per Melpignano si mette fine a tale condizione con le due celebri prammatiche 14 e 16 De baronibus, emanate da Carlo V, che dichiarano illegali tali pretese, pur continuando invece ad essere documentata l'esistenza di tale istituto feudale presso altre realtà sociali.