Museo diocesiano di Otranto. Antico fonte battesimale usato nel rito bizantino proveniente dalla Cattedrale di Otranto. (foto A. PALMA)

 

  a Grecìa salentina, da distinguere dalla colonia italo-albanese stanziata nel corso del XV sec. nelle vicinanze di Taranto e dall'altra isola etnico-culturale italogreca stanziata in Calabria, è ricordo in questa "terra di frontiera" rappresentata da Terra d'Otranto nel bacino del Mediterraneo, della presenza del dominio bizantino sull'Italia meridionale, del cui dominio, Otranto, con il suo porto, fino alla sua conquista operata dai Turchi nel 1480, rappresenta sempre la massima sede del potere politico, militare e religioso. Ricordo ancora di quella fecondissima stagione in cui nelle sue chiese e nei suoi conventi basiliani trovano espressione altissima arte e cultura, dove, in questo estremo lembo d'Italia, la cultura latina e quella bizantina vengono in contatto fondendosi in un mirabile crogiuolo, il cui esempio può essere rappresentato dal cenobio di s. Nicola di Casole, nei pressi di Otranto, in cui trovano asilo tutti gli studiosi amanti della cultura e dove la sua mirabile biblioteca apre le menti ad una più completa conoscenza del sapere. Tutto questo prima che l'intolleranza politica e religiosa cominciasse ad esercitare in quest'area quell'implacabile processo di disgregazione degli usi e delle consuetudini di tradizione bizantina, che avrebbe portato ineluttabilmente ad un'azione di assimilazione, lenta ma costante, al mondo latino. Frattura tra le due Chiese, che in sostanza caratterizza lo scontro secolare tra occidente ed oriente ed il loro diverso modo di concepire l'uomo e la società, e che soltanto oggi si cerca, forse, di sanare tra cattolici ed ortodossi, nell'esercizio di una libera espressione delle rispettive professioni religiose.

Nel tentativo di un approfondimento dei diversi aspetti sociali della suddetta minoranza etnica, non facile è cercare di avviare una qualche indagine per la ricostruzione dei caratteri originari e dei momenti più intensi di vita sociale della sua popolazione. La mancanza di documentazione purtroppo è un fatto fondamentale che ostacola tale proposito costituendo un limite pressoché invalicabile. L'Archivio della Curia arcivescovile di Otranto infatti, non offre documentazione precedente al limite cronologico del 1480, anno del saccheggio turco, e non migliore situazione purtroppo offrono gli Archivi delle parrocchie dove più a lungo il rito bizantino è stato conservato e che costituiscono la "Grecìa salentina", cioè quelle di Calimera, Castrignano, Corigliano, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino.

L'azione di assimilazione cominciata con la conquista normanna della penisola salentina nell'XI sec., nell'opera di ristrutturazione delle istituzioni politico-amministrative per il consolidamento del proprio potere ed accompagnata dall'interessato concorso della Curia romana attiva nel combattere il rito bizantino nel Salento, viene portata avanti sempre con grande determinazione per radicalizzarsi poi in modo definitivo dopo le risultanze del Concilio di Trento. In questo momento, l'usura del tempo e l'intolleranza degli uomini hanno ridotto le consuetudini ed i riti ormai a sopravvivere solo in campo sociale e religioso. Il suddetto rito sopravvive ancora soprattutto oltre che come fattore linguistico, anche grazie alla guida assicurata in diverse parrocchie della diocesi di Otranto, ad un arciprete, o protopapa, di rito bizantino.

Nella religiosissima società greco-salentina i principali momenti della vita di un individuo sono costituiti, per la sua rilevanza sociale, essenzialmente dall'amministrazione del battesimo e dal rito sociale del matrimonio. L'evento della morte invece è tenuto in scarsa considerazione e vissuto quasi come un fatto privato, la partecipazione della chiesa attraverso i conforti religiosi è piuttosto marginale. Il rito del battesimo è eseguito dal padrino mediante immersione nell'acqua. Con le proprie mani infatti immerge e solleva il neonato in un capace fonte battesimale posto generalmente al centro della chiesa. Si aggiungono al rito del battesimo i testimoni ed a suprema garanzia dell'atto compiuto, la levatrice, "aula" o "avola". Questa compare negli atti di battesimo, naturalmente a seconda delle varie realtà dell'area in oggetto, fino alla fine del 1500 per essere sostituita dalle formule: "figlio legittimo e naturale", "natus in costantia matrimonii". Segue subito dopo al suddetto rito del battesimo, l'unzione delle "due parti estreme della fronte, lasciando il mezo per il prelato" per la conferma della cresima.

Per quanto riguarda l'istituto del matrimonio, l'unica documentazione che ci fornisce qualche elemento su cui avviare qualche ipotesi di ricerca, è il più antico libro di matrimoni [1567-1688] presente nell'Archivio della parrocchia di Melpignano. In questo, negli atti riportati si alternano due tipi di formule, la cui tipologia è la seguente: "à di ... (giorno/mese) fu affidato et sposato ... (nome e cognome dello sposo) et ... (nome della sposa). Lo nunno fu ... (nome) praesentibus ... (nomi dei testimoni)"; oppure "à di ... io don ... (nome del sacerdote celebrante) affidai ante faciem ecclesiae et sposai ... (nome dello sposo) et ... (nome della sposa), furono presenti ... (nomi dei testimoni)". È chiaro che le formule suddette si riferiscono a due modi ben distinti di celebrare il matrimonio. La prima, riportata fino al 17 febbraio 1572, riguarda il rito bizantino in cui centrale è la figura del "nunno", specie di compare d'anello, cui seguono quelle dei testimoni. L'altra invece, che sostituisce la prima dal 20 agosto 1581, si riferisce al rito latino. Da rilevare che nella prima formula non compare affatto la figura del celebrante.

La diversità dei suddetti atti implica naturalmente distinzione nel modo di essere nell'ambito della stessa società salentina, la consapevolezza cioè di appartenere a un distinto gruppo caratterizzato da un'insita differenza culturale che la diversità delle formule forse vuol rimarcare ed amplificare.

In generale se si vuol esprimere qualche considerazione sulla società in oggetto, si può dire che ogni azione sociale in cui è protagonista ogni singolo individuo, è vissuta in seno alle rispettive comunità con una larga partecipazione di amici e familiari. L'assoluta prevalenza dell'elemento maschile emersa dal riscontro dei nomi dei padrini e dei testimoni che partecipano ai suddetti riti religiosi di battesimo e di matrimonio, assegna al detto elemento senza alcun dubbio, in seno alla società in considerazione, particolare rilevanza sociale spiegabile con le connesse implicazioni istituzionali e consuetudinarie. Sempre nella suddetta funzione di testimoni, a dimostrazione della profonda fede religiosa vissuta dalla popolazione, molto richiesta è la partecipazione dei "clerici" ed in generale di persone nei vari gradi ecclesiastici. Nella celebrazione del matrimonio, i testimoni quasi sempre risultano nel numero di tre, salvo aggiungere "et altri", forse in numero dispari come è nella tradizione orientale. La partecipazione della locale chiesa attraverso i suoi ministri nella celebrazione di questi riti sociali, risulta semplice e naturale, come giusta santificazione degli atti compiuti e decisi in seno alla stessa società senza sovrastrutture e forzature particolari.

Per quanto riguarda la struttura ecclesiastica parrocchiale, la cura delle anime è affidata al solo arciprete, o protopapa, il solo responsabile dell'amministrazione del rito nella parrocchia, aiutato da pochi clerici quasi sempre anche loro con qualche ascendente nella carriera ecclesiastica, in cui a volte il figlio succede al padre nella carica di arciprete "prima ed unica dignità ... e ne meno vi si poteva trovare nella medesima [chiesa matrice] corpo di Capitolo ... e solamente ... essendovi un solo Arciprete, senza esservi altro sacerdote, il medesimo esercitava il tutto, ed era sacerdote ed arciprete nel rito greco", come ci attestano le "Costituzioni della matrice chiesa di Zollino e reverendo Capitolo di essa" redatte nel 1781. Per ciò che riguarda la formazione dei chierici greci salentini, come succede per tanti altri mestieri, essi imparano il mestiere di prete prima in casa, dalla bocca e dall'esempio del padre, e ciò Otranto, chiesa di s. Pietro, interno. Veduta dell'abside e delle navate lateralispiega senz'altro, almeno in una certa misura, il buon livello della cultura ecclesiastica e di conseguenza la buona tenuta del rito bizantino di fronte all'incalzare di quello latino.

Per quanto riguarda le strutture ecclesiastiche è da rilevare che chiese e cappelle e finanche le stesse chiese parrocchiali sono presenti preferibilmente fuori dal centro abitato. Ognuna di queste realtà rappresenta un singolare universo, intorno al quale trovano aggregazione molto spesso un cimitero e diversi locali destinati ad assicurare ospitalità ai pellegrini ed assistenza ad ammalati e bisognosi. Il luogo sacro quindi, per la complessità delle sue funzioni, è un luogo fortemente radicato nel territorio che risponde egregiamente ai diversi bisogni religiosi ed esistenziali della popolazione. A questi luoghi di culto è da aggiungere ancora la presenza diffusa dei monasteri basiliani a felice contatto con la natura e con l'ambiente da cui traggono e ricambiano sussistenza, ricchezza e cultura, secondo la tradizione contemplativa degli ordini orientali. La particolare "presenza religiosa" delle suddette strutture ecclesiastiche, diffusa sull'intero territorio di ogni singola realtà sociale, per la sua essenzialità ci porta ad apprezzare l'originalità del modo di vivere la vita e la religiosità in modo semplice e naturale da parte della popolazione della suddetta minoranza etnica, lontana dai rigidi schematismi culturali ed istituzionali presenti nella restante area di tradizione latina della provincia di Terra d'Otranto e che si affermerà più tardi nell'area in oggetto.

L'energia delle autorità ecclesiastiche romane riesce ben presto però a ricondurre sotto la propria giurisdizione, nel corso degli ultimi decenni del 1500 e per tutto il '600, anche quest'ultima testimonianza di cultura bizantina, pur resistendo qualche residuo fino a metà 700, permanendo fin quasi ai nostri giorni soltanto il fattore linguistico come comune fattore aggregante rispetto al mondo circostante.

Per una corretta ricostruzione dei vari aspetti socio-economico-politico-religiosi, bisogna considerare le particolari evoluzioni storico-istituzionali vissute dal regno di Napoli fondato sulla struttura del "feudo". Questo diventa estremamente frammentario a partire dal sec. XIV, specie in provincia di Terra d'Otranto, quando, per la dissoluzione delle più vaste unità politico-amministrative rappresentate dal principato di Taranto, dalle contee di Lecce e di Soleto, in sostanza finisce per coincidere con un piccolo territorio. In primo luogo, rimasto ormai un ricordo il rapporto personale tra il sovrano ed il suo beneficiato se non attraverso il pagamento del relevio, dell'adoa e dello jus tapeti, il feudo è diventato mero oggetto di compravendita da parte della Regia Corte nei confronti dei diversi feudatari interessati al suo acquisto più per sfruttare i cittadini ed i frutti prodotti nel suo territorio che ad altro. I feudatari, signori delle terre in questione, provenienti da ogni parte d'Italia, in quanto ormai il feudo è diventato soltanto una mera impresa economica da offrire all'asta al migliore offerente, non avendo alcun interesse o riguardo per l'elemento greco, si appoggiano anzi all'elemento latino non fosse altro che per la lingua, dato che per loro quella greca è estremamente e terribilmente incomprensibile. La stessa intolleranza può dirsi appartenga agli Ordinari diocesani mandati in questa estrema provincia. In questi anzi il sacro fuoco del rispetto dell'ortodossia religiosa porta alle estreme conseguenze, su posizioni di intolleranza anche per aspetti marginali e secondari da sempre condivisi dalla stessa Chiesa cattolica. Tutto ciò è il frutto infatti dei nuovi atteggiamenti manifestati dal Papa Pio IV con il suo breve Romanus Pontifex del 16 febbraio 1564, richiamato nella bolla Providentia Romani Pontificis del 20 agosto 1566 da papa Pio V, in cui viene revocata ogni licenza di promiscua celebrazione nei territori italogreci di rito misto e inoltre vengono diffidati i praesbyteri graeci, praecipue uxorati dal valersi ulteriormente delle precedenti concessioni ed i sacerdoti latini dall'officiare il culto graeco ritu. Alle suddette decisioni pontificie si aggiungono quelle dei Cardinali componenti la Congregazione dei greci, cioè la Congregatio pro reformatione Graecorum in Italia existentium et monachorum et monasteriorum ordinis sancti Basilii, responsabili della verifica e della discussione del rito bizantino in Italia, che ammettono essere incompatibile con il rito della chiesa cattolica romana.

L'arcivescovo di Otranto Pietro Antonio de Capua [1536-1579] inserisce le norme di riforma che si rendono necessarie, dopo il Concilio di Trento, nel contesto dei decreti promulgati dal suo sinodo provinciale, celebrato nella sua sede durante il mese di settembre 1567. Nel preambolo alle suddette norme, l'Arcivescovo manifesta chiaramente l'intenzione di "correggere et emendare quelle cose che concernono la salute dell'anime ... d'accomodar quelle cose che potevon fare, che tutta la Provincia si riducesse a un'ottima disciplina, all'obedienza della Chiesa Cattolica" ed infine di osservare "questi ... Decreti con diligenza, attendendo quali sieno le pene poste à delinquenti, e quali sieno i premi di coloro che con pietà e innocentemente vivono". Così precise norme vincolanti vengono emanate a proposito dei fondamentali riti sociali del battesimo, della cresima e della estrema unzione, minacciando i sacerdoti greci disubbidienti della loro possibile estromissione dal corpo capitolare delle proprie rispettive parrocchie come addirittura di dichiararli scismatici e punirli con la privazione dell'ingresso e della sepoltura in chiesa, nel caso che avessero perseverato nell'"antica consuetudine conservata presso di loro" e nell'"antico errore di alcuni preti della Chiesa Costantinopolitana".

Ancora dubbi sono sollevati dall'arcivescovo di Otranto Pietro de Corderos [1579-1585], fugati poi dal cardinale Giulio Antonio Santoro, in merito alla liceità, per le popolazioni italo-greche della sua diocesi, di non digiunare il sabato così come usano fare, nonché per il clero greco conservare l'eucarestia per gli infermi secondo l'uso bizantino, e cioè comunicarli con pane fermentato ma in forma rotonda che ricorda l'ostia.

La drammatica repressione interesserà quindi nella provincia di Terra d'Otranto, a parte l'insediamento italoalbanese di più recente immigrazione presente nella diocesi di Taranto con caratteri, usi e tradizioni bizantini, esclusivamente le parrocchie della diocesi di Otranto, ed in particolare, alcune di esse dove tale tradizione risulterà più radicata. Terra considerata marginale fino a quel momento e che si troverà sfortunatamente inserita in una guerra di piena intolleranza religiosa. D'altronde la documentazione interessante l'area greca di Terra d'Otranto si trova inserita tra lettere e relazioni indirizzate al cardinale Sirleto provenienti dalla Germania, dall'università di Parigi, detta "volgarmente della Sorbona", dalle provincie orientali e dai Vescovadi dell'Albania, in un contesto cioè grave per la Chiesa cattolica per le profonde scissioni dottrinali e di contestazione alla sua ortodossia religiosa, nonostante sempre ed in ogni tempo si siano assicurate le gerarchie ecclesiastiche romane della diversità tra le recenti immigrazioni greche ed albanesi presenti in diverse aree del regno di Napoli e la più antica presente in Terra d'Otranto. Quest'ultima infatti ha già subito l'ineluttabile processo di assimilazione al mondo latino, gli ecclesiastici della Grecìa salentina infatti, come ricorda l'arcidiacono Francesco Cavoti di Soleto nei suoi tre memoriali consegnati al cardinale Giulio Antonio Santoro nel 1577, "De Graecoitalorum et Orientalium Graecorum usibus, item de eorundem Graecoitalorum abusibus", e come testimoniano le relative bolle d'investitura agli ordini religiosi rilasciate quasi sempre dai Vescovi della provincia di Terra d'Otranto, di Otranto, Nardò, Castro e Gallipoli, dipendono dagli Ordinari latini e sono coscienti di professare una fede in tutto conforme ai dogmi cattolici "et sono conformi et obedienti alla Chiesa Catholica Romana". Ma in sostanza tutto ciò significa nello specifico contesto dell'ambiente interessato, oltre che affermazione di nuove classi sociali, legate come abbiamo visto ad elementi forestieri a danno del tradizionale elemento autòctono, anche, una volta per tutte, affermazione delle istituzioni ecclesiastiche e della gerarchia ecclesiastica romana.

I suddetti interventi pontifici e le soluzioni date e motivate per i singoli quesiti sui Greci e gli Albanesi ed il loro rito, da parte della suddetta Congregazione, esprimono la volontà di sopprimere o, almeno, di favorire l'estinzione per esaurimento di clero del rito bizantino in Italia. Molti vescovi delle diocesi meridionali l'intendono proprio in questo senso ed esercitano la loro autorità per realizzare tale intervento.

Carpignano salentino, cripta di  santa Cristina, interno. Cristo e Annunciazione di Teofilatto (anno 959).  Foto Studiorione - Maglie.Per accelerare tale processo di "normalizzazione", non si esita ad imporre dagli Ordinari diocesani, sotto pena di scomunica, le opportune trasformazioni negli arredi interni delle chiese, che implicano naturalmente trasformazioni del rito. Così vengono distrutte le splendide iconostasi che separano la navata dal santuario o presbiterio, distrutti gli antichi fonti battesimali posti al centro delle stesse chiese in cui si amministra il battesimo secondo il rito greco per immersione nell'acqua, ed infine ... distrutte le antiche chiese bizantine, la cui struttura è generalmente "à portici per li penitenti all'uso della primitiva chiesa e col cimitero nell'atrio fuori di essa", riedificando, quando la situazione finanziaria delle comunità interessate lo rende possibile, altre chiese più idonee à fundamentis, et in ampliorem ac decentiorem formam. Come sempre, per convincere la religiosissima popolazione del cambiamento del rito, si incentiva la nascita di nuovi culti ispirati alla tradizione ecclesiastica latina facendo leva sia su consistenti costituzioni di benefici in favore di ecclesiastici latini e sia sulla realizzazione di nuovi luoghi di culto. Cadono così nell'oblio e nel desueto gli antichi luoghi di culto bizantini, le cui pareti ricche d'immagini di santi e di belle madonne, secondo la più splendida tradizione bizantina, ispiravano naturalmente il popolo e lo avvicinavano più di quanto invece possono fare le spoglie e bianche chiese latine.

Alle suddette trasformazioni, diciamo così "strutturali", bisogna aggiungere la sistematica spoliazione, per merito degli ecclesiastici latini, dei codici e libri liturgici greci presenti nelle cattedrali e chiese parrocchiali, necessari oltre al normale svolgimento delle funzioni sacre, soprattutto all'importantissima funzione per la trasmissione della cultura. Ancora un'arma molto potente che senz'altro si rivelerà determinante per incidere profondamente nella società interessata, concorrendo a trasformare riti secolari ed antiche prassi consuetudinarie, sono le minacce sempre promesse delle possibili pronunce di scomunica fulminate nei confronti non solo degli ecclesiastici, sempre richiamati ad accettare "quanto il Sacro Concilio di Trento ha determinato", ma anche contro la stessa popolazione responsabile di praticare i riti religiosi condannati ufficialmente dalla Chiesa nel suddetto Concilio. In particolare sulla celebrazione del matrimonio l'arcivescovo mons. Pietro Antonio de Capua, con propri ordini dati nella sua sede di Otranto il 26 marzo 1567, prima della celebrazione del suddetto sinodo provinciale, stabilisce: "scomunichiamo tutte quelle persone che contrairanno matrimonio e faranno contra la forma de i decreti del sacro concilio tridentino, et sia i preti come notari ed altri persone o testimoni ecclesiastiche, et quelli che vi interveniranno", e "ammonemo et esortamo ... che tutti della nostra Diocesi quali contrairanno matrimonio non habbiano da consumarlo se non saranno legittimamente affidati et sposati ante faciem ecclesiae". A proposito delle feste liturgiche con editto del 20 gennaio 1572 il suddetto Arcivescovo, rinnovando le disposizioni già date l'8 gennaio 1569, comanda "alli arcipreti e curati ... tanto alli lochi dove si vive alla latina come nelli lochi dove si vive alla greca debbiano sotto le pene in detto ordine contente guardare le feste latine de la santa madre ecclesia romana comandate, e che di consuetudine hanno osservato non togliendo à greci di poter osservare anchora le greci insieme per lor devotione". È difficile ricostruire la drammaticità della situazione vissuta dal clero e dalla popolazione interessata, che tocca naturalmente i suoi più profondi modi di essere, per mancanza di adeguate fonti documentarie superstiti. Ma è certo che il pericolo continuo delle minacce di scomunica, l'impadronimento e la conseguente "burocratizzazione" portata dalla chiesa latina negli antichi riti sociali della Grecìa salentina non rispettando la natura intima dei fatti in questione, propri sia dei singoli individui che della comunità interessata, agiscono da generale magma in cui ogni sorta di dissenso e di consuetudine non consona ai dettami del Concilio di Trento, viene miseramente e lentamente soffocato. Infatti forse soltanto la preoccupazione da parte delle autorità ecclesiastiche latine di veder la popolazione priva dei necessari sacramenti per la non accettazione dei preti latini a capo delle rispettive parrocchie di rito greco, non spinge la loro volontà a sospendere immediatamente il suddetto rito preferendo invece aspettare i tempi più lunghi per il fisiologico esaurimento dello stesso.

Di fronte a tale situazione, data ormai l'impossibilità di sostenere un qualsiasi atteggiamento di forza per una causa per molti aspetti già persa, nelle diverse parrocchie in cui ormai debole è la pratica del rito greco si registrano defezioni ed abbandono dello stesso da parte di ecclesiastici spesse volte non più motivati quanto la stessa popolazione. D'altronde gli allettamenti non mancano certo. Forte influenza ha nell'immaginario collettivo della popolazione il ricorso esclusivo, da parte delle locali classi nobiliari per l'amministrazione dei sacramenti, ad ecclesiastici provenienti dal capoluogo di Terra d'Otranto, Lecce. Per gli ecclesiastici invece, ed in particolare per quelli destinati alla carica di arciprete, nella generale ristrutturazione degli incarichi e delle gerarchie, è molto seducente la possibilità di cumulare nella propria persona come unico parroco tutti i beni della parrocchia greca e della latina se passati al rito latino.

Ma dove forte è l'attaccamento alla religione dei padri, nel suddetto generale magma che tutto sembra annullare e rendere tranquillo nell'accettazione dei dettami della Chiesa romana, restano incastonati inquietanti motivi di dissenso che contribuiscono a far comprendere, nell'assoluta mancanza di altre fonti documentarie, la drammaticità della situazione e le profonde lacerazioni intanto vissute da questa società. Nel suddetto primo libro dei matrimoni della parrocchia di Melpignano [1567-1688], di cui abbiamo già detto a proposito dell'alternanza delle formule di rito bizantino e latino, la registrazione progressiva degli atti si interrompe all'11 dicembre 1572. L'arciprete Nicolantonio Specchia eletto nel 1577, colmando una lunga vacanza nella parrocchia lasciata alle cure dei soli cantori don Domenico Villano e don Domenico Macri, riprende a registrare il 20 agosto 1581, ben nove anni dopo, con la sola formula di rito latino, scomparendo per sempre quella di rito bizantino. L'annotazione contenuta nel verso della stessa pagina contribuisce a chiarire la frattura, che evidentemente non è solo formale registrazione di atti, ma implica le più profonde motivazioni sociali e religiose. Nella presentazione in San Pietro in Galatina dei libri di battesimi e matrimoni, il 18 e 22 ottobre 1583, l'arcivescovo Pietro de Corderos impone per la loro tenuta precise disposizioni. In particolare per i matrimoni, al suddetto arciprete comanda "ascriversi detti matrimoni nella forma che li è stata ordinata ... et si debbia osservare sotto pena de cento libre di cera".

A Soleto, terra in cui gli ecclesiastici di rito bizantino non si erano certo fatto scrupolo delle esigenze spirituali della popolazione, don Giovanni Antonio Rizzo non riesce a concludere in pace i propri giorni. Infatti questi, "qui prius fuit presbyter graecus, deinde cum dispensa in sedis Apostolicae latino ritu missas celebravit, etatis suae annorum fere octuaginta quinque extra moenia huius terre Soleti prope locum dictum l'Aulella, fuit inventus occisus hore diei fere vigesima tertia, qui illo mane iuxta eius solitum missam celebravit".

Oltre ai suddetti "spontanei" cambiamenti di rito non mancano anche i premurosi contributi e interventi sempre assicurati dalle istituzioni ufficiali, rappresentate da vescovi, papato e nobiltà. Infatti ognuno, secondo la propria possibilità e competenza, interviene direttamente non facendosi affatto scrupolo di ledere diritti e prerogative del popolo interessato. Si sfrutta ogni occasione propizia, sia lasciando vacante del proprio arciprete la parrocchia in attesa di una più favorevole opportunità, come è il caso di Melpignano nel decennio 1567-1577, sia intervenendo direttamente come nella parrocchia di Martignano, sia favorendo gli immancabili processi di contrapposizione all'interno delle stesse comunità.

Archivio storico della diocesi di Otranto, Curia arcivescovile. Atto di battesimo scritto in greco dal sacerdote Donato Vinzi di Soleto.Le locali istituzioni parrocchiali ed amministrazioni comunali sempre più spesso si trovano accomunate nell'esigenza di difendersi dall'astio e dai soprusi delle istituzioni ecclesiastiche diocesane, affatto disposte a rispettare i semplici diritti e prerogative ad esse spettanti, come ad approfittare della propria posizione privilegiata di poter comminare pene e censure nei confronti dell'elemento greco per conseguire addirittura da questo esclusivi vantaggi personali. Ancora la contrapposizione tra autorità diocesane e rappresentanti delle istituzioni locali, avviene finanche per l'imposizione di un venale predicatore quaresimale preferito al locale arciprete, come succede la mattima del 24 marzo 1656 in cui gli amministratori dell'università di Corigliano sono costretti a difendersi dal "monitorio" di scomunica inviato dal Vicario capitolare di Otranto.

È ancora una prova, forse una delle ultime, di affermazione della propria individualità culturale, l'atto di battesimo scritto interamente in greco, che il 10 novembre 1667 il sacerdote more graecorum Donato Vinzi di Soleto, affida alle pagine del primo libro dei battezzati della parrocchia di Zollino.

Emergono a tratti purtroppo soltanto squarci di verità, che, come abbiamo già detto, la mancanza di una documentazione adeguata, ammettendone naturalmente l'esistenza, non permette di ricostruire in modo completo.

Interessante si rileva un confronto tra la situazione istituzionale delle parrocchie della diocesi di Otranto e quelle delle diocesi circostanti di Nardò, Gallipoli, Ugento e Castro, che pur avevano avuto profonde tradizioni greche, come testimoniano le Rationes collectoriae del XIV secolo. Mentre nel corso della prima parte del 1600 in diverse parrocchie della diocesi di Otranto la struttura istituzionale è ancora quella tradizionale bizantina, cioè affidata al solo arciprete, nelle vicine diocesi invece la struttura istituzionale delle rispettive parrocchie rispecchia quella ormai consolidata in tutto il mondo latino. In esse infatti, tranne nelle poche parrocchie in cui le rispettive rendite consentono soltanto il mantenimento dell'arciprete, in un buon numero delle stesse partecipano nella distribuzione delle cariche le diverse dignità (arciprete, arcidiacono, preposito, cantore e tesoriere) a seconda della natura della chiesa se collegiata o semplice recettizia con massa comune, cui si affiancano diaconi, suddiaconi, clerici, clerici coniugati e diaconi selvaggi. Struttura ecclesiastica favorita peraltro dalla pessima congiuntura economica del regno napoletano sempre al limite della sopravvivenza per tutto il '600, nella quale trovano rifugio e protezione i consistenti patrimoni familiari attraverso la costituzione degli innumerevoli benefici familiari, mediante i quali i rispettivi beneficiati, aggiungendo le larghe esenzioni fiscali assicurate dalle consuetudini e dalla legislazione in vigore, garantiscono alle rispettive famiglie una certa sicurezza di fronte all'improbabilità della vita minacciata dalle continue carestie e crisi sanitarie per tutto l'antico regime.

Differenze profonde emergono ancora per quanto riguarda il rito sostenuto dal popolo in diverse parrocchie della diocesi di Otranto ed affidato agli arcipreti more graecorum, rimasti ormai soli a combattere le ultime resistenze prima del suo ineluttabile tracollo nel corso del '600. Nelle parrocchie delle vicine diocesi infatti tali riti e manifestazioni sono già scomparsi o se ancora sopravvivono, sono subito proibiti all'indomani del Concilio di Trento ed accettati facilmente dalla locale popolazione che ormai ha già subito l'inevitabile assimilazione già prima del suddetto Concilio, continuando a sopravvivere solo come comportamento sociale scarsamente accompagnato dal bisogno rituale e religioso. È questo infatti il risultato del lungo processo di assimilazione che aveva visto altrettante realtà geografiche, in cui pur era stata presente la pratica del rito greco, subire delle radicali trasformazioni. La loro più immediata funzione commerciale e strategica per il controllo del territorio, che caratterizza la presenza nelle rispettive città di potenti e dinamici fattori economici come di fondamentali istituzioni politico-amministrative, sono fattori essenziali che accelerano inesorabilmente i processi di trasformazione delle diverse realtà sociali.

Alla suddetta evoluzione degli ordinamenti istituzionali ancora bisogna aggiungere l'azione decisiva di altri fattori destabilizzanti che, attraverso la materiale scomparsa dei depositari dei caratteri originari della minoranza etnica, sono capaci di incidere profondamente sulle strutture della società di Terra d'Otranto accelerandone i processi di assimilazione. Le ricorrenti grandi epidemie di peste, le frequenti crisi economiche e commerciali e la perenne condizione di "terra di frontiera", che espone la popolazione ai continui saccheggi dei corsari Turchi, con i loro terribili effetti devastatori contribuiscono in modo determinante a variare continuamente in ogni singola realtà sociale i tradizionali assetti familiari, sociali e delle locali istituzioni parrocchiali e delle Università, facendole evolvere verso schemi religiosi e sociali corrispondenti alla volontà della Sede apostolica romana, facendo emergere nel contempo le nuove classi sociali protagoniste di tale trasformazione.

Alla fine del periodo in considerazione, soltanto nelle poche sparute parrocchie costituenti appunto la "Grecìa salentina" sopravvivono, come abbiamo già visto, riti e tradizioni bizantine. Piccoli "paesi" situati nel cuore della penisola salentina, certamente d'importanza marginale sul piano strategico, sia politico che religioso, rispetto alle altre parrocchie della diocesi della provincia di Terra d'Otranto, ma che, proprio questa condizione, offre loro la possibilità di affrontare i tempi del cambiamento del rito religioso in modo abbastanza lento e sostanzialmente con processi evolutivi differenti in ogni realtà sociale in considerazione.

Una volta ridimensionato il ruolo istituzionale delle strutture ecclesiastiche di rito bizantino e superati gli aspri toni polemici che caratterizzano per tutto il '500 e metà del '600 i rapporti tra la suddetta minoranza etnica e l'elemento latino ed affermate ormai definitivamente a livello istituzionale in ogni realtà sociale le strutture parrocchiali secondo i dettami del Concilio di Trento, la tradizione culturale della Grecìa salentina sopravvive fortemente radicata nella propria popolazione. Clerici e sacerdoti che amano distinguersi "more graecorum", continuano a dar lustro della propria cultura come insigni letterati ed apprezzati "grecisti" non soltanto nell'ambito delle Corti signorili del regno di Napoli, ma ricoprono fondamentali incarichi presso la santa Sede e presso tante altre Corti signorili italiane.

Di quel fortunato periodo non tutto è andato perduto. Oltre alle opere d'arte, molte delle quali risparmiate più dalla clemenza del tempo che dalla cura degli uomini, restano, nelle maggiori biblioteche d'Italia e d'Europa, i codici, esemplati da monaci, sacerdoti e laici, a testimoniare la vitalità della cultura bizantina in Terra d'Otranto.

Ma bisogna rilevare anche che le testimonianze letterarie proprie della suddetta minoranza etnica sono state purtroppo condizionate dalla suddetta evoluzione istituzionale. Se si esclude infatti la consistente e splendida produzione greca affidata ai suddetti codici e libri liturgici prodotti comunque prima del sec. XVI, bisogna dire che dopo tale periodo rare ormai sono le sue tracce. Ciò si spiega con il fatto che perduta la documentazione più antica ed a parte quella superstite conservata negli archivi parrocchiali, frutto peraltro dei suddetti processi di "normalizzazione", la documentazione conservata negli archivi degli enti statali e di quelli ecclesiastici, è stata prodotta dalle diverse autorità e funzionari quasi sempre estranei all'elemento locale. In tutti i loro atti infatti, pur se gli interessati si esprimono "in graecorum vulgari sermone", sono obbligati ad usare la lingua latina o quella "volgare" italiana. Così dopo il '600 la lingua di origine greca non riesce a trovare più coscienza espressiva in opere scritte, se non nella seconda metà dell'800 quando, in un clima di generale rinascita degli studi storici che tendono romanticamente a ricostruire le vicende sociali della penisola salentina, si dà origine finalmente ad un bellissimo canzoniere grecanico che riesce a far apprezzare anche ora, oltre la bellezza della lingua, la ricchezza e la delicatezza di sentimenti di cui quel popolo è stato sempre depositario.

* Il saggio, a cura di chi scrive, proposto in questa sede è tratto da: Civiltà della Magna Grecia. Problematica dei Paesi ellenofoni, Atti del Convegno internazionale di studi, Ischia-Napoli-Lecce, 24 - 27 settembre 1992, a cura dell'Accademia Tiberina - sezione di Napoli, Napoli 1993, pp. 125-139.